Matteo Paris ( 1200 – 1259 ), monaco benedettino inglese, definì l’mperatore il più grande tra i principi della terra: “Stupor mundi et immutator mirabilis”.

Salimbene de Adam o da Parma ( 1221 – 1290 ), cronista dell’ordine dei Minori: “Fu un uomo doppio, ma anche capace, all’improvviso, di diventare amabile, lieto, pieno di grazia. Fu un uomo astuto, ingegnoso, avaro, lussurioso, malizioso, iracondo. Fu anche uomo valente, bello e proporzionato…    se solo, fosse stato cristiano, e avesse amato Dio, la Chiesa e l’anima sua, ci sarebbero stati nel mondo pochi uomini pari a lui nel governare”.

Niccolò di Iamsilla cronista del XIII secolo collaboratore di Manfredi :  “Federico fu vinto solo dalla morte e mai l’impeto lo costrinse a fare , ma procedette in ogni cosa con la maturità della ragione”.

Abu ‘al Fadà annalista arabo del XIII secolo, lo giudicò “ Un uomo generoso, vago di filosofia, logica e matematica, amava i mussulmani “.

 Ibn al Giawzi ( 1186 – 1256 ), giurista e storico arabo, lodò la tolleranza dell’imperatore e lo descrisse così:     ” …di pel rosso, calvo, miope. Un materialista che del cristianesimo si faceva sempre gioco”.

Dante Alighieri ( 1265 – 1321 ), poeta fiorentino,  lo mise nell’Inferno insieme a Farinata degli Uberti, che gli si rivose dicendo: “ Qui con più di mille giaccio, qua dentro è il secondo Federico e ‘l Cardinale…”. Nella cantica del Paradiso il poeta, a proposito di Costanza d’Altavilla, ripetè, “ …che del secondo vento di Soave ( Enrico VI ) generò ‘l terzo e l’ultima possanza ( Federico II ). Si direbbe che per Dante l’antica età, in cui “solea valore e cortesia trovarsi”, ( Barbarossa e Enrico VI )  era giunta al termine perchè Federico II ( il terzo vento di soave ) non era stato all’altezza di tutelare, come avrebbe dovuto, la persistenza di quei valori andati ormai perduti.

Giovanni Villani ( 1280 – 1348 ),  cronista guelfo fiorentino,  rappresentò Federico II come un tiranno, persecutore della Chiesa, ma lo definì “ un uomo universale in tutte le cose che fece”.                                                

Pandolfo Collenuccio ( 1444 – 1504 ) storico e umanista pesarese,  parlando di una biografia di Federico II stilata dal Vescovo Mainardino da Imola riporta questo giudizio: “…da parte sua ha visto nello Svevo un mecenate delle scienze e delle arti. Un precursore dei principi della sua epoca, capace di contrastare con successo il potere dei baroni”.

 Niccolò Machiavelli ( 1469 – 1527 ), storico e letterato fiorentino autore de “Il Principe”, commentando l’azione politica di Federico II ne apprezzò l’efficacia nella lotta contro il Papa, che distinse da quella nei confronti della Chiesa. Incurante delle “maledizioni papali” l’imperatore assoldò “molti Saraceni”, cosa che invece considerò negativamente perché meno affidabili dei soldati cittadini.

Pietro Giannone ( 1676 – 1748 ), storico illuminista, lodò l’opera di Federico e di suo figlio Manfredi presentandoli come i creatori di uno stato modello, libero dalle ingerenze ecclesiastiche e giustificando le tante crudeltà dell’imperatore con la “ragion di stato”.

Ludovico Antonio Muratori ( 1672 – 1750 ), illuminista, ecclesiastico e padre della storiografia italiana e della medievistica, vide in Federico l’uomo che voleva “abbattere la libertà dei Lombardi”. Un nemico della Chiesa, ma che non doveva essere giudicato troppo severamente, soprattutto per la sua legislazione in materia di giustizia.

Ugo Foscolo ( 1778 – 1827 ), poeta preromantico, dal suo esilio ha esaltato le lettere imperiali vergate dalla mano sapiente di Pier delle Vigne considerandole un’anticipazione di “alcuni dei più robusti argomenti che trecento anni dopo i protestanti posero in campo contro l’autorità temporale della Santa Sede”. Il poeta considerò l’Hohenstaufen come un campione che voleva, già nella prima metà del Duecento, unificare i diversi popoli della penisola riunendo l’Italia sotto un solo principe, una sola forma di governo e una sola lingua per poterla tramandare, potentissima, ai suoi successori tra le monarchie d’Europa.

Luigi Settembrini ( 1813 – 1897 ), napoletano, patriota e letterato anticlericale, ha affermato che Federico ”era nato italiano e qui voleva il suo Impero”. Il suo incompiuto obiettivo era quello di “conquistare tutta l’Italia e tenere la Germania come provincia confinante” e “relegare il papa alla condizione del patriarca di Costantinopoli”.

Cesare Balbo (1789-1853), politico e scrittore cattolico-liberale di Torino, riconoscendo le doti personali di Federico, lo definì “immaginoso e di sicuro più italiano che tedesco”, sottolineando però “ la pericolosità e la superbia del più famoso antagonista di ben cinque pontefici di Santa Romana Chiesa”.

Johann Gottfried Herder (1744-1839 ), teologo e filosofo tedesco, intravide nell’imperatore svevo  quasi un illuminista ante litteram chiamandolo “ stella mattutina di un giorno migliore” e “martire del suo tempo”.

Friedrich Schlegel ( 1772 – 1829 ), filosofo tedesco e precursore del Romanticismo europeo, condannò duramente “ l’uso smodato delle sue tanti doti: Federico era un “despota ateo” che aveva “distrutto il regno tedesco e l’Impero quale si era costituito nel Medioevo” Jacob Burckardt ( 1818 – 1897 ) storico svizzero autore di “La civiltà del Rinascimento in Italia” definì l’imperatore svevo  “il primo uomo moderno sul trono“. Un sovrano che voleva assommare nelle sue mani tutti i poteri, come fecero a sua imitazione, un paio di secoli dopo, tanti altri despoti del Rinascimento italiano.

Leopold von Ranke ( 1795 – 1886 ), storico tedesco, affermò: “Federico non ebbe l’avvedutezza, l’intelligenza politica e la moderazione di suo nonno e per questo fallì in ciò che meglio era riuscito  a Federico Barbarossa: concludere tregue e paci separate con i Comuni e con il Papa”.

Ferdinand Gregorovius ( 1821 – 1891 ), storico medievista tedesco, scrisse di Federico paragolandolo a un precursore della Riforma protestante. Un uomo che aveva “illuminato il mondo” lottando contro la “barbarie clerico-feudale del Medioevo”. Visitando a Palermo la tomba del più grande imperatore tedesco, scrisse sincere parole di ammirazione  per “uno dei grandi geni della civiltà, che con la loro presenza accendono un fuoco che continuerà ad ardere per secoli”.

Friedrich Nietzsche ( 1844 – 1900 ), filosofo tedesco, parlò di Federico come uno di quegli esseri “magicamente inafferrabili, impenetrabili, quegli uomini enigmatici, predestinati alla vittoria e alla seduzione” e lo definì il primo uomo europeo.

Hans Prutz ( 1843 – 1929 ), storico tedesco, definì l’imperatore “maestro nell’arte machiavellica della dissimulazione”.

Karl Hampe ( 1869 – 1936 ), storico tedesco, vide in Federico un precursore del Rinascimento “ anticipatore di idee nuove, che videro la luce, in modo pieno, soltanto nel Seicento e nel Settecento”. Federico II fu “l’ultimo degli imperatori tedeschi a meritare pienamente tale titolo. Colui che già i contemporanei chiamavano lo stupore e l’innovatore del mondo. Fu forse il più grande, sicuramente il più affascinante e interessante dei nostri imperatori”.

Stefan George ( 1868 – 1933 ), poeta simbolista tedesco, vide in Federico “ l’uomo capace di riunire nella sua carismatica figura l’Oriente e l’Occidente, la civiltà greca  e quella romana”.

Friedrich Gundolf ( 1880 – 1931 ), critico letterario tedesco, definì Federico  come il “Sovrano più geniale dopo Giulio Cesare”.

Ernst Kantorowicz ( 1895 – 1963 ), storico tedesco, scrisse una monumentale biografia di Federico II nelle cui pagine la storia, l’arte e la religione si fondono in un racconto appassionante, innervato su un’amplissima documentazione nella quale le lettere private e pubbliche, le costituzioni imperiali e le cronache cittadine hanno uguale dignità.

Jaques Le Goff ( 1824 2014 ), storico francese del Medio Evo, definisce Federico: “una figura fuori del comune, l’antitesi perfetta di San Luigi, il re santo di Francia (1214-1270)”.

David Abulafia, studioso britannico contemporaneo, vede nello svevo soltanto un figlio del suo tempo. Non fu “ né un genio politico né un visionario” ma piuttosto “un solido conservatore” che più che al futuro tendeva a guardare al passato, soprattutto a quello della sua casata”. In coerenza con questo ritratto anche il suo mecenatismo fu soltanto una pallida ombra di quello dei suoi predecessori normanni.  All’alba del terzo millennio, appare ancora confuso nel mito: un’icona spesso sbandierata anche da dissennate politiche di marketing turistico.

Fulvio Delle Donne, storico e professore di letteratura latina medievale, ha scritto che la memoria per l’unico imperatore degno di quel nome vissuto nel XIII secolo è quasi una “damnatio”, una condanna maggiore dell’oblio.

Franco Cardini, storico del Medio Evo, a proposito dell’esistenza reale di Federico sepolta sotto il peso di una trasfigurazione, spiega che “la leggenda dell’imperatore si impadronì dell’uomo fino a soffocarne la storia”.

 ( I testi sono tratti  da una ricerca di Virginia Valente )

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