
L’aquila imperiale sta per terminare il suo volo. Federico, nel giugno 1247, è in viaggio verso la Francia, dove spera di stringere preziose alleanze, quando viene raggiunto dalla notizia di una nuova sconfitta. I parmensi seguaci del papa, già in esilio, hanno ripreso il controllo della città il 16 giugno, massacrando i “collaborazionisti” amici dell’imperatore. Federico giura vendetta: farà radere al suolo l’infedele città di Parma e cospargerà di sale le sue rovine.
Chiama a raccolta tutti i suoi alleati e, nonostante il fronte imperiale si stia rapidamente sgretolando, riesce a radunare sotto le mura parmensi un esercito “multinazionale” di 38.000 uomini, che crea anche qualche problema di vettovagliamento. Con lui sono i figli Enzo e Manfredi, e il fedele Ezzelino da Romano, signore del Veneto.
Poco a sud della città assediata, sul luogo dove sorge l’accampamento imperiale, Federico ordina la fondazione della “nuova Parma”: si chiamerà Vittoria. Mentre la nuova città comincia a crescere, in legno tra le tende, diventando per qualche mese la capitale dell’Impero, l’assedio si trascina stancamente per tutto l’autunno. Federico non stringe i tempi, non vuole ripetere l’errore commesso a Brescia 10 anni prima. Parma cadrà stremata dalla fame.
Il 18 febbraio 1248, l’imperatore, in sella al suo cavallo preferito, l’arabo Dragone, sta cacciando con Manfredi nella campagna circostante, a circa cinque chilometri dal campo. È sicuro che la città stia per cadere, duramente provata da un inverno di assedio. Ne sono convinti gli stessi parmensi i quali tentano un’estrema, disperata sortita. In quattromila, brandendo uno stendardo con la Vergine, escono dalle mura e si lanciano contro la palizzata che circonda la città-accampamento sorprendendo i nettamente gli assedianti. I pochi edifici lignei e le tende prendono fuoco rapidamente, mentre gli imperiali vengono massacrati. Quando Federico, udito il frastuono della battaglia, giunge sul posto la tragedia è compiuta. La sua Vittoria brucia, non vi è più traccia né del tesoro nè dell’harem imperiale, i suoi uomini giacciono mutilati nel fango. Tremila scampati al massacro sono condotti prigionieri in Parma e fatti sfilare per le vie preceduti da un buffone che veste i paramenti imperiali catturati.
Lo stesso Federico scriverà: ”Varie sono le vicende della Fortuna: ora abbassa gli uomini, ora li esalta; e spesso alcuni blandisce innalzando che poi alla fine abbatte, colpendoli e flagellandoli di ferita insanabile”.