Il problema principale per un monarca medievale è personificato dai baroni. Per costoro il re è un primus inter pares e si comportano di conseguenza. La fedeltà alla corona è sempre condizionata da qualche contropartita. Ogni barone, infine, è re nelle proprie terre, costituendo un vero e proprio stato nello stato, con leggi e consuetudini autonome.
La grande questione del Basso Medioevo sarà la lotta intrapresa dai monarchi europei per concentrare tutto il potere nelle proprie mani, eliminando le giurisdizioni indipendenti, sia feudali che comunali, condizione necessaria per l’evolversi verso uno stato moderno.
Alcuni sovrani usano un mezzo indiretto: i tribunali regi i quali, contrapposti a quelli addomesticati dal signorotto locale, garantiscono l’applicazione di norme uniformi in tutto il regno. Questo sistema viene adottato in Francia e Inghilterra, dove il re non ha la forza di sopportare uno scontro aperto con i potenti vassalli.
Ma Federico è l’imperatore, non un primus inter pares, nessun potere è superiore al suo. A Melfi, nel settembre 1231, promulga il Liber o Lex Augustalis, una raccolta di leggi che passerà alla storia con il nome della città lucana. Le 217 norme, o costituzioni, sono frutto di due soli mesi di lavoro di una commissione presieduta da Pietro delle Vigne, il fidato Gran Cancelliere dell’imperatore. Questo corpo legislativo rappresenta una svolta nella cultura giuridica europea, finora ispirata al diritto feudale di origine barbarica e al diritto canonico della Chiesa. Il Liber è il primo codice medievale ispirato esplicitamente ai principi del diritto romano, in particolare quello di età imperiale. L’ammirazione per la civiltà romana, coltivata negli ambienti della laica corte federiciana, è una novità nel panorama culturale dell’Europa medievale, decisa nel denigrare i mondi non cristiani. Federico invidia il potere assoluto e divino degli imperatori romani e giunge a farsi ritrarre sulle monete auree, che chiama significativamente augustali, abbigliato come un antico Cesare.
Lo scopo delle costituzioni di Melfi è quello di imbrigliare il potere dei baroni del regno. Anche qui la strada percorsa è quella della normalizzazione della procedura giudiziaria. Vi si trovano norme che tutelano la libertà personale, anche quella dei servi della gleba, e che permettono ai vassalli minori di appellarsi al re contro i baroni. Decreti aggiuntivi del 1233 concedono ai rappresentanti delle città di sedere nei parlamenti accanto a nobili e clero. Il disegno è chiaro: far crescere una classe borghese che bilanci l’influenza dell’aristocrazia e dell’alto clero e dia luogo ad uno sviluppo economico pari a quello dell’Italia settentrionale. Federico sembra indirizzato verso un liberismo ante litteram quando riduce le barriere doganali interne o quando favorisce le attività dei mercanti, anche se provenienti da città nemiche come Genova e Venezia. La politica economica federiciana avrebbe successo se la pressione fiscale non crescesse di continuo. Aumentano le spese per mantenere un fidato esercito mercenario, che riduca la forza militare della nobiltà, e un apparato burocratico efficiente. Lo stato diventa il primo soggetto economico del regno: detiene ricchi monopoli (sale, ferro, seta, macellazione, trasporti, cambio valute) e possiede grandi estensioni di terra. Secondo alcuni storici il fisco federiciano affosserà lo sviluppo del capitalismo, con conseguenze definitive per l’economia del Mezzogiorno.
La Lex Augustalis sembra ispirata da idee avanzate: abolizione delle ordalie nei processi, apertura di procedimenti penali d’ufficio per taluni reati gravi, non punibilità dei minori, riconoscimento dei diritti della donna nelle successioni. Ma non bisogna farsi ingannare. Rimangono in vigore tortura e pene corporali durissime. Federico cerca unicamente il potere assoluto, limitando i diritti politici delle classi sociali in grado di ostacolarlo.