Il 1249 è l’anno più difficile per l’imperatore. In febbraio fa arrestare e torturare Pietro delle Vigne, consigliere e amico fidatissimo, probabilmente scoperto ad arricchirsi con le finanze regie. In maggio il figlio Enzo viene catturato dai ribelli bolognesi. Rivolte scoppiano in ogni regione dell’Impero. Sembra proprio la fine.
Qualche segno di ripresa viene l’anno dopo dalla Germania, dove un altro figlio, Corrado, sconfigge l’antirè appoggiato da papa Innocenzo IV, Guglielmo d’Olanda. L’aquila potrebbe rialzarsi in volo.
Nel dicembre 1250, Federico si trova a Foggia, una delle residenze preferite. Soffre per le febbri intestinali che lo tormentano già da tempo. Nonostante ciò decide di spostarsi a Lucera, la roccaforte più fedele, colonia dei saraceni siciliani, protetta dall’imperatore. Dopo qualche giorno vuole effettuare una battuta di caccia nei dintorni di Lucera, ma per l’aggravarsi delle febbri deve fermarsi nel suo castello di Fiorentino.
Sul letto di morte ripartisce i suoi domini tra i figli, illudendosi che le sue volontà vengano rispettate. L’ateo Federico muore da cristiano? Sicuramente riceve l’assoluzione dall’arcivescovo di Palermo. Una leggenda, nata in ambienti francescani, narrerà che l’imperatore, in punto di morte, avrebbe pronunciato le stesse parole del pubblicano della parabola omonima: “O Dio, abbi pietà di me che sono un peccatore!”. Dante, comunque, collocherà Federico tra gli epicurei dell’Inferno (X canto), segno di scarsa fiducia in una conversione tardiva dell’imperatore.
La morte del cinquantaseienne Stupor Mundi lascia increduli amici e nemici. I Guelfi pensano a una mistificazione e temono che l’imperatore non sia morto, ma stia tramando nell’ombra per ritornare più forte di prima.
I Ghibellini, più che in una resurrezione, confidano nei figli di Federico. In Germania i trovatori canteranno il mito dell’imperatore che, ora addormentato con i suoi cavalieri, si risveglierà non appena la patria tedesca si troverà in pericolo. Il mito è così forte che, ancora 40 anni dopo la morte, ci saranno ciarlatani che si spacceranno per Federico, finendo invariabilmente arsi sul rogo come eretici visionari.
Ma se dopo 8 secoli ancora studiamo e dibattiamo la figura e l’opera di Federico II, vuol dire che il mito dello Stupor Mundi, il primo tedesco che si innamorò del nostro paese, è ancora vivo.