I limiti organizzativi di uno stato feudale non consentono al sovrano di risiedere stabilmente in una capitale. Il re e la sua corte si spostano continuamente da un luogo all’altro del regno sia per ribadire l’autorità regia, sia per consumare in loco le risorse del territorio destinate alla corona come tributi.
Federico ama talmente la Puglia da sentirsene figlio: Puer Apuliae è un’altro dei suoi numerosi appellativi. Federico fa costruire diverse residenze in Puglia dopo il 1230. Un palazzo sorge a Gioia del Colle su un preesistente castello normanno, fortezze a Lucera e Barletta, castelli a Foggia, Conversano, Altamura, Minervino Murge, Lagopesole e Fiorentino.
Castel del Monte, a pochi chilometri da Andria, rimane l’esempio più affascinante dell’architettura federiciana. Costruito su una collina che domina il paesaggio delle Murge, tutto ulivi e viti, nasce come casino di caccia, probabilmente intorno al 1240.
L’edificio è un ottagono perfetto, circondato da 8 torri, una per vertice, anch’esse ottagonali, fusione armonica di elementi gotici, romanici, bizantini, arabi e dell’architettura militare crociata. Vi si accede attraverso un portale maestoso, capolavoro nel capolavoro, che immette nel cortile interno. Ognuno dei due piani del castello comprende otto stanze di dimensioni uguali, una per lato, tutte con il soffitto a volta. Nelle torri trovano posto soldati, falconieri e, in apposite stanze, gli amati rapaci dell’imperatore. La camera preferita da Federico è quella posta al secondo piano in corrispondenza del portale: da lì può scorgere in lontananza il mare, e ammirare i falconi che volteggiano intorno al castello in attesa della caccia.
La corte itinerante dello Stupor Mundi impressiona i contemporanei con il suo esotismo. Attratto dalla cultura araba, ancora fortemente radicata in Sicilia, Federico, come un califfo, si circonda di un serraglio di animali esotici e di un harem, intorno al quale fioriscono maliziose leggende.
La corte è anche luogo di elaborazione di una raffinata produzione poetica, la prima di un certo rilievo scritta in lingua volgare italiana.
Il poliedrico imperatore si interessa anche di filosofia, anche se in modo piuttosto superficiale. Viene attratto da quesiti quali la distanza tra cielo e terra, o l’esatta ubicazione dell’Inferno. Per risolvere questi interrogativi indirizza questionari a noti maestri di filosofia, a Michele Scoto, il filosofo-astrologo di corte, e perfino a dotti arabi.
Ma è la scienza la grande passione di Federico. Anche in questo caso è determinante l’influenza della cultura araba, all’epoca molto più avanzata di quella europea in campo scientifico. Da vero laico razionalista, praticamente un ateo per i contemporanei, non si accontenta delle vaghe spiegazioni della scienza cristiana che tende a liquidare i fenomeni naturali incomprensibili come interventi divini o demoniaci. Un’innata curiosità, e la mancanza di scrupoli di qualche scienziato di corte, lo portano a cercare risposte scientifiche attraverso la sperimentazione diretta, procedimento lodevole se non fosse per l’uso, un po’ troppo frequente, di cavie umane, ricordato con raccapriccio dai cronisti.
Tipica espressione della cultura feudale è l’attività venatoria. Viene praticata dall’aristocrazia come sublime esercizio in preparazione alla guerra. La caccia dei nobili si distingue da quella praticata dai plebei per il rapporto cavalleresco che viene instaurato con la preda: il cacciatore aristocratico aborrisce trappole, reti e altri sistemi subdoli di cattura. In questa visione paritetica di cacciatore e cacciato, la falconeria, ove il confronto avviene tra due animali, è la più nobile tra le specialità venatorie. Federico ne è un vero cultore. Il suo falconiere Rinaldo d’Aquino è uno dei personaggi più importanti della corte. La passione per i rapaci e l’esperienza accumulata durante le battute nelle campagne pugliesi, vengono riversate da Federico in una celebre opera, il De arte venandi cum avibus, l’Arte di cacciare con gli uccelli, della quale si conserva uno splendido esemplare miniato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Nei 6 volumi che la compongono, oltre alle nozioni per l’addestramento dei rapaci alla pratica venatoria, lo Stupor Mundi descrive minuziosamente le diverse specie di uccelli, comprese abitudini e fisiologia. Insomma un vero e proprio trattato di storia naturale che testimonia il grande amore che Federico, deluso dagli uomini, nutre per la Natura.